Il risparmio gestito

 

Il risparmio gestito, che oggi copre private banking, wealth management in generale e il settore dell’asset management, ha origini che risalgono almeno al XIII secolo, con un modello in cui venivano raccolti fondi da clienti e investitori per essere investiti in crediti ad attività commerciali e governi (vedi studio di S. Ugolini, 2018).

Fast forward di 800 anni, e non è cambiato molto. Le banche raccolgono i soldi dei risparmiatori e li investono, non solo in crediti, come allora, ma anche in azioni e in particolare fondi d’investimento (che a loro volta investono in azioni, obbligazioni, immobili, etc.).

Se un business va avanti da 800 anni senza grandi cambiamenti, vuol dire probabilmente che è un ottimo business. E ci sono almeno i seguenti motivi per cui la gestione del risparmio è un ottimo business:

#1 gli esseri umani sono attratti sia dalla possibilità (o dall’illusione) del guadagno facile, sia dal senso di sicurezza dato da istituzioni finanziarie che si presentano in modo autorevole e professionale

#2 ogni essere umano risparmia e investe per una vita intera. Questo significa che chi gestisce i risparmi degli investitori guadagna ogni giorno, mese, trimestre, anno, per tutta la vita del cliente. Chi gestisce i risparmi degli investitori ha un flusso di entrate ricorrente e quasi sicuramente crescente: col tempo i risparmi aumentano, interessi e inflazione fanno aumentare il valore nominale dei risparmi. E se un cliente ha bisogno dei propri risparmi per comprare casa? Ecco l’ipoteca. Un altro flusso di entrate ricorrenti.

 

I costi

 

I costi di gestione del risparmio pagati sull’arco di una vita possono ammontare comodamente al 30% del totale investito in un fondo, e possono arrivare ben oltre. Se investo una certa cifra in un fondo d’investimento per i prossimi 40 anni e pago lo 0.3% di costi di deposito titoli più 1% (spesso di più) in costi di gestione, e 0.2% di costi di amministrazione, finisco per pagare (0.3%+1%+0.2%) all’anno per 40 anni, che fa il 60% del totale investito. Aaaaaaaaaaahhhhhhh non è possibileeeeee! Invece sì. Dicevamo appunto che è un ottimo business.

Non c’è nulla di male nell’avere un buon business. Ma un risparmiatore deve fare due calcoli: quanto pago, in maniera diretta e indiretta, per questi servizi di gestione del risparmio, sull’arco di una vita? Questi costi hanno senso? Nella fattispecie, ricevo un valore aggiunto maggiore di quanto pago?

Se il valore aggiunto è (significativamente e stabilmente) maggiore di quello che pago, allora tutto bene. Ma riflettiamo un attimo: chi gestisce i risparmi di un cliente prende i soldi, li investe sul mercato, e il cliente riceve il rendimento di questi investimenti meno i costi di gestione, deposito, transazione, etc. pagati agli intermediari finanziari (ovviamente dobbiamo anche dedurre le eventuali tasse). Chi compra, chi vende, chi investe in azioni europee, chi investe in azioni americane, obbligazioni, materie prime, criptovalute, e così via. Ci sarà chi va meglio, chi va peggio, la media degli investitori, comunque, andrà come la media del mercato. Se prendiamo la totalità degli investitori, questi investitori non possono che performare, in media, come il mercato, o meglio, un po’ peggio del mercato visto che ci sono i vari costi di transazione, gestione, deposito.

Nel 1991, William Sharpe, che l’anno prima ricevette il premio Nobel per l’economia, spiegò elegantemente come, se dividiamo, come d’altronde è proprio il caso, il mondo in investitori passivi (che si accontentano della media del mercato) e investitori attivi (che ritengono di poter battere il mercato o che hanno delle preferenze specifiche), gli investitori attivi sono condannati, in media, ad andare un po’ peggio della media del mercato – a causa dei costi.

Ci sarà chi va bene, chi va peggio, ma in media, andranno, per forza, leggermente peggio. Ovviamente la maggior parte dei clienti si aspetta che il loro gestore, il loro consulente, i loro fondi d’investimento andranno meglio della media. Ma le chances sono decisamente a sfavore dell’investitore. È sempre facile trovare una situazione particolare, un aneddoto, un buon investimento, per giustificare la convinzione di poter far meglio. La realtà è che quando si ha a che fare con investimenti che sono facilmente accessibili e liquidi, come azioni, obbligazioni, le principali materie prime, le valute, un risparmiatore non si deve aspettare che risultati, a lungo termine e in media, al di sotto della media dei mercati.

Se vuoi approfondire il tema della performance dei fondi d’investimento, vedi il video qui di seguito:

“Sotto la media” non significa “scarsi in assoluto”, significa “scarsi in senso relativo”. Un fondo d’investimento azionario che costa l’1% all’anno può salire del 10% e l’investitore magari si rallegra per il guadagno. Vede il bicchiere pieno. Se il mercato di riferimento però è salito del 12%, di fatto l’investitore ha perso 2% rispetto al mercato. Se questa situazione si prolunga sull’arco degli anni, l’investitore paga un sacco di soldi per la gestione mentre in realtà si ritrova con mancati guadagni enormi. Avrebbe guadagnato molto di più con prodotti a basso costo.

Non ci dobbiamo sorprendere che l’asset management sia ormai la vera gallina dalle uova d’oro per le banche e i gestori indipendenti. Se un cliente investe nei fondi offerti dalla banca o dal proprio gestore indipendente, questo incassa importanti commissioni di gestione. Tra l’altro, non è più davvero indipendente. Un problema fondamentale della gestione del risparmio è infatti il conflitto d’interessi. Gli interessi del cliente sono allineati solo in modo parziale, spesso addirittura sono molto poco allineati, con quelli dei gestori – banche, gestori patrimoniali, gestori di fondi. Retrocessioni per la distribuzione di certi prodotti, commissioni di transazione, costi alti di gestione per prodotti facilmente replicabili in modo passivo a basso costo, … affidarsi ai professionisti ha dei costi enormi. Il problema è che spesso il cliente non si rende conto di questi costi. Mentre i costi di deposito e transazione sono visibili sull’estratto conto, i costi di gestione dei fondi sono solo visibili nella documentazione tecnica. La performance relativa, rispetto ad un benchmark, cioè il mercato di riferimento o un portafoglio passivo a basso costo, non viene considerata.

Se vuoi approfondire il tema del conflitto d’interessi, vedi questo video:

Conclusioni

 

Per concludere, la gestione del risparmio, sia essa in forma di wealth management (private banking) o asset management attivo (nel senso di fondi o mandati di gestione attivi)

  • ha costi che sembrano piccoli, poiché considerati in percentuale all’anno ma si accumulano sull’arco di una vita, pagandoli ogni trimestre, ogni anno, per decenni;
  • ha costi a volte non ben visibili (quelli della gestione – e amministrazione – dei fondi);
  • tende, in media, a performare peggio di un investimento passivo a bassissimo costo;
  • è afflitta da un fondamentale conflitto d’interessi che pesa sul cliente risparmiatore.

Per questo ha senso fare un po’ più da sé.

Le banche sono fondamentali –per un deposito sicuro e transazioni efficienti, purché sia ad un buon prezzo.

I gestori sono fondamentali – per offrirci strumenti come i fondi passivi a bassissimo costo, che ci permettano di investire nei vari mercati in maniera efficiente, ad un buon prezzo. 

La nostra testa è fondamentale – per valutare i fatti e non cadere nelle solite tentazioni (come l’avidità) e trappole (come la paura, l’illusione e l’apparenza).